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n°21

Agosto 2013

 
 
 
 

 

 

Legge anti femminicidio: quelle polemiche pretestuose

Come molti di voi sapranno, martedì 20 agosto siamo tornati in Aula alla Camera per incardinare il disegno di legge di conversione del decreto legge sulla violenza di genere, chiamato più comunemente “anti femminicidio”. Non è mancata la polemica, anche aspra, nei confronti della Presidente della Camera Laura Boldrini. Per spiegare perché è stata duramente contestata da Lega e M5S, userò termini tecnici e chiarirò nel dettaglio come funziona in questi casi.

 

Innanzitutto, cosa è successo nell’Aula di Montecitorio alla presenza di 104 di noi? Il decreto anti femminicidio è stato varato durante l'ultimo Consiglio dei Ministri prima della pausa estiva e il 17 agosto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. A quel punto, il testo doveva essere presentato, cioè “incardinato”, in Parlamento entro 5 giorni dalla pubblicazione.

 

Quali sono i presupposti legislativi che hanno richiesto questa prassi? Va ricordata la differenza tra decreto legge e decreto legislativo: il primo è un provvedimento provvisorio avente forza di legge, adottato in casi straordinari di necessità e urgenza dal Governo, ai sensi dell'art. 77 della Costituzione. Entra in vigore immediatamente dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ma gli effetti prodotti sono provvisori, perché i decreti legge perdono efficacia sin dall’inizio, se il Parlamento non li converte in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione.

 

E, sempre per essere il più possibile precisi, voglio anche ripassare il dettato dell’articolo 77 della Costituzione: “Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”.

 

Invece, il decreto legislativo o decreto delegato è un atto normativo avente forza di legge adottato dal potere esecutivo (Governo) per delega espressa e formale del potere legislativo (Parlamento). E’ previsto dall'art. 76 della Costituzione ed è uno strumento con il quale le Camere decidono, per esempio per motivi di inadeguatezza tecnica o mancanza di tempo, di non disciplinare nel dettaglio una determinata materia non coperta da riserva di legge formale, riservandosi però di stabilire i principi e i criteri direttivi, cioè la cornice entro la quale il Governo dovrà legiferare.

 

Faccio anche sapere che, nonostante la Costituzione non lo preveda espressamente, è invalsa la prassi secondo cui il Governo, prima di approvare definitivamente un decreto delegato, ne sottopone lo schema alle Commissioni parlamentari competenti sulla materia, e ne accoglie eventualmente i pareri e le osservazioni. Ma ciò significa che mentre la Camera ha il potere di votare le leggi, le commissioni svolgono un ruolo istruttorio, esprimono un parere, ma non hanno lo stesso compito e ruolo dell’Aula. E soprattutto, nel caso dei decreti legislativi, il Governo non ha obblighi di recepire alcunché da parte delle commissioni.

 

Perché racconto tutto questo? Perché proprio i M5S che hanno tanto contestato la Boldrini, hanno confuso i due tipi di decretazione pensando che fossero la stessa cosa. Altrimenti non si spiega la loro arroganza nell’accusare una come la Presidente della Camera di voler solo mettersi in luce, per un mero adempimento formale, spendendo soldi pubblici. Lei ha risposto per le rime e con chiarezza dicendo che si trattava di un atto costituzionalmente dovuto e che se non lo avessimo fatto, avremmo violato la Costituzione.

 

Aggiungo, inoltre, un altro retroscena, sempre per far capire con chi abbiamo a che fare. Nella riunione dei capigruppo della Camera prima della pausa estiva, tutti i partiti, cioè all’unanimità, e dunque anche i grillini, avevano deciso di ricominciare i lavori in Aula il 6 settembre, lasciando ai presidenti delle commissioni la possibilità di iniziare prima i lavori. Ma il M5S ha subito cavalcato la polemica populistica secondo cui le ferie del Parlamento erano troppo lunghe. Peccato che le aveva appena votate. Poi, il 20 agosto, si è lamentato perché rientravamo per poche ore, spendendo denaro dei cittadini, e, secondo gli esponenti del movimento – che non avevano assolutamente capito –, senza necessità di farlo.

 

Non credo sia questo un modo serio di fare politica. E anche fosse una tattica, discutibile ma pur sempre tale, trovo assurdo che i Cinquestelle abbiano voluto polemizzare apposta su un tema tanto serio, delicato, tragico come quello della violenza sulle donne che quasi ogni giorno ormai sfocia in un omicidio. Temo proprio che costoro, pur di apparire sui media come “i salvatori della patria”, abbiano rischiato di mettere in gioco un provvedimento urgente e oltre modo importante.


 

 

 

 

 

 
   
 
 
 
 

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